DatA

Intervista a Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente

La bicicletta e la micromobilità nelle nostre città, e non solo, si stanno affermando sempre di più, ma continuiamo a registrare, purtroppo, non pochi problemi di sicurezza e troppi morti tra chi ne fa uso. Ne parliamo con il Presidente di Legambiente Stefano Ciafani.

Come valuti la situazione attuale della ciclabilità in Italia, nelle città in particolare, in termini di infrastrutture e anche di servizi che sono a disposizione degli utenti della bicicletta?

Siamo nel pieno di una rivoluzione che comincia a essere anche piuttosto evidente nel Paese. Fino a vent’anni fa potevamo solamente raccontare esperienze di alcune amministrazioni comunali e di città che hanno sfruttato l’orografia, come le città della Pianura Padana, in particolare quelle dell’Emilia-Romagna, che venivano spesso descritte come capitali delle due ruote. Anche nei nostri rapporti emergeva questa tendenza. Penso alle classifiche sull’ecosistema urbano, al nostro rapporto annuale sui capoluoghi di provincia e alla crescita dei progetti che erano stati avviati in passato con un certo ritardo. Ci sono stati poi alcuni shock, come la pandemia di COVID-19, che hanno portato a importanti cambiamenti a causa della “paura” di condividere i mezzi di trasporto pubblico, come è accaduto tra il 2020 e il 2021. In quel periodo, sono state approvate alcune norme che hanno semplificato la realizzazione di corsie ciclabili. Nella legislatura precedente all’inizio dell’era COVID-19, avevamo lavorato per sbloccare la possibilità di creare corsie dedicate alla mobilità su due ruote apportando modifiche al codice della strada. Siamo riusciti a farlo grazie all’emergenza COVID-19 e alla preoccupazione legata agli assembramenti nei mezzi pubblici. Ricordo che nell’estate del 2020, in uno dei decreti di semplificazione del Governo Conte 2, contribuimmo a far cambiare la normativa per consentire ai comuni di creare in modo semplificato le corsie ciclabili. Così, questa rivoluzione è continuata dove era già evidente ed è iniziata anche in città che fino a quel momento erano state completamente immobili sulla questione della ciclabilità. La diffusione di questi nuovi spazi riservati alle biciclette ha creato alcune problemi di sicurezza, ma ha reso visibile questa rivoluzione in tutto il Paese. C’è ancora molto lavoro da fare, non siamo ancora al livello di alcuni paesi del Nord Europa, dove questa rivoluzione è consolidata da decenni, ma ci sono segnali positivi. Mi piace sottolineare il lato positivo di questa evoluzione degli ultimi anni, che è anche il risultato del lavoro culturale condiviso da tutti noi e della reazione al COVID-19 che ha dato un ulteriore impulso a questa rivoluzione. Ora dobbiamo completare il processo coinvolgendo tutti i decisori politici, compresi i Comuni, le Regioni, il Governo e il Parlamento. Tuttavia, ci sono ancora delle carenze culturali, come dimostra anche la discussione in corso in Parlamento sulla riforma del codice della strada, che sta promuovendo il Ministro Salvini. In sintesi, questa rivoluzione sta continuando. Io vedo il bicchiere mezzo pieno ma, per riempirlo completamente, c’è ancora un percorso significativo da percorrere e non sarà facile.

Accennavi al tema della sicurezza, che è un tema centrale. Quali sono, secondo te, le misure più urgenti che bisognerebbe adottare per rendere le città italiane più sicure.

La riforma implementata in emergenza nel 2020 ha avviato un cambiamento significativo, poiché siamo passati dal concetto di piste ciclabili fisicamente separate alla coesistenza sulla stessa carreggiata, a volte con una semplice delimitazione visiva. Non c’è una barriera fisica, solo una corsia dedicata. Ma ora c’è la necessità di un lavoro culturale urgente e, su questo fronte, almeno nei due terzi del Paese, c’è un deficit significativo. Nel Nord si presta maggiore attenzione, certo non ovunque, mentre nel Centro e nel Sud, questa carenza è ancora più evidente e diffusa. Mi riferisco al fatto che molte strade sono percepite come dominio di chi utilizza veicoli più grandi e potenti, affermando la supremazia delle quattro ruote, soprattutto delle auto private. Questo problema è visibile quotidianamente quando si attraversa la strada sulle strisce pedonali senza un semaforo. Ci meravigliamo sempre quando, nei paesi europei, specialmente nel Nord Europa, ci si avvicina alle strisce pedonali e gli automobilisti si fermano per dare la precedenza ai pedoni. Questo dovrebbe essere la norma anche in Italia, poiché la precedenza dovrebbe essere sempre per i pedoni. In Italia, invece, spesso devi aspettare diversi minuti prima che gli automobilisti si fermino per consentirti di attraversare. Questa carenza culturale, che è evidente per chi si sposta a piedi, diventa ancora più evidente quando la carreggiata è condivisa tra biciclette e veicoli a quattro ruote. Era già evidente quando non c’erano corsie ciclabili, perché c’erano alcuni eroi, così li definirei, che si avventuravano nel traffico su due ruote, correndo grandi rischi per la loro sicurezza. Con l’aggiunta delle corsie ciclabili e la condivisione della carreggiata, questa problematica è diventata ancora più evidente, soprattutto perché sempre più cittadini desiderano adottare la bicicletta come mezzo di trasporto. Ci sono molte ragioni per questa tendenza, inclusa una maggiore sensibilità ambientale e il desiderio di contribuire alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili per combattere l’inquinamento locale e la crisi climatica. C’è anche una crescente inclinazione verso la micromobilità, con l’esplosione dei monopattini che si sono uniti alle biciclette tradizionali e all’introduzione delle biciclette a pedalata assistita, che consentono a più persone di utilizzare la bicicletta, anche “a chi pensa di non avere il fisico per farlo”. Pertanto, è fondamentale un intervento massiccio per cambiare l’atteggiamento culturale dei nostri cittadini nei confronti dell’uso delle strade. La logica della forza e della prepotenza delle quattro ruote mette a rischio la vita di centinaia di persone ogni anno sulle strade italiane, e questa tendenza potrebbe accentuarsi con l’ulteriore diffusione della micromobilità, dai monopattini alle biciclette. Non stiamo facendo abbastanza su questo fronte. Un’altra questione fondamentale è l’importanza di intensificare i controlli per garantire il rispetto delle regole da parte di tutti gli utenti della strada. Le regole devono essere rispettate da tutti, inclusi coloro che utilizzano le due ruote, ma soprattutto dai conducenti di veicoli a quattro ruote, i quali dispongono di mezzi più grandi, potenti e pericolosi per gli altri utenti della strada. Tuttavia, l’approccio un po’ “militaresco” proposto nel nuovo codice della strada non è la soluzione secondo noi. La chiave per garantire una convivenza più pacifica e meno conflittuale tra i veicoli a quattro ruote, quelli a due ruote e i pedoni è, a mio parere, sostenere la rivoluzione delle città a 30 km/h. Ridurre i limiti di velocità nei centri urbani di qualsiasi dimensione è essenziale per ridurre il numero di incidenti stradali. Il problema non è la coesistenza dei mezzi di trasporto, ma la velocità dei mezzi a quattro ruote. Fino a poco tempo fa potevamo citare solo l’esperienza di Olbia, ma ora abbiamo l’esempio di Bologna, che rappresenta una vera e propria rivoluzione e dovrebbe essere sostenuto da tutti i punti di vista. Qualche giorno fa abbiamo emesso un comunicato stampa di supporto al sindaco Lepore, firmato da me, dal presidente di Legambiente Emilia-Romagna e dal presidente del Circolo di Bologna. Questa rivoluzione delle città a 30 km/h avrà successo solo se emulata implementata nelle grandi città e nelle metropoli. Il coraggio dimostrato da Bologna è notevole e va elogiato, alla pari di quello mostrato quasi vent’anni fa da Moratti quando introdusse l’Ecopass a Milano, un sistema che ha poi subito diverse evoluzioni. La riduzione della velocità a 30 km/h è una rivoluzione fondamentale per molte ragioni, non solo per la sicurezza, ma anche per la riduzione delle emissioni di gas serra. Naturalmente ci sono state e ci sono ancora proteste a Bologna. Queste sono azioni ambiziose e coraggiose che spesso suscitano controversie e lotte politiche, ma è importante gestirle. Auspichiamo che l’esempio Bologna sia seguita da molte altre città e metropoli.

In chiusura, quali sono quindi le aspettative di Legambiente per il futuro della ciclabilità in Italia e quali sono i prossimi passi e le iniziative che Legambiente intende fare.

Ritengo che il lavoro svolto dal nostro gruppo sul tema della mobilità sostenibile e della ciclabilità abbia costituito uno dei pilastri principali del nostro impegno associativo. Ho notato recentemente, in una pubblicazione che celebrava i nostri 40 anni di storia, le prime pedalate effettuate nel 1984 nel centro di Roma, con l’obiettivo di chiedere la pedonalizzazione di alcune zone centrali. In quegli anni, Piazza del Popolo a Roma e Piazza Plebiscito a Napoli erano ancora parcheggi. Questo testimonia quanto il tema della ciclabilità sia stato da sempre cruciale per noi. A quel tempo, era una questione quasi visionaria, se pensiamo a come erano le città in quegli anni. Abbiamo continuato a lavorare su questo fronte e ora stiamo iniziando a vedere i risultati significativi di decenni di duro impegno.

L’autunno scorso abbiamo tenuto il nostro XII Congresso Nazionale con il titolo “L’Italia in cantiere”. Abbiamo discusso dei progetti di transizione ecologica e ne abbiamo identificati dieci. Tra questi, abbiamo affrontato la rigenerazione urbana, l’agricoltura, il risanamento ambientale, l’innovazione produttiva. Uno dei dieci pilastri su cui ci siamo impegnati a lavorare per i prossimi quattro anni è proprio il tema della mobilità sostenibile. Continueremo a completare questa rivoluzione, lavorando a fianco del legislatore nazionale per consolidare ciò che è già stato avviato.

Pensiamo, ad esempio, alle ciclovie turistiche. Fino a una decina di anni fa, per praticare il cicloturismo dovevamo recarci all’estero, ma oggi il cicloturismo è una realtà importante anche nel nostro Paese. Abbiamo contribuito alla creazione della ciclovia dei Trabocchi e di altre ciclovie locali, come il GRAB di Roma. Il nostro obiettivo è continuare a collaborare con tutti i soggetti, a partire da Euromobility, che hanno contribuito in vario modo a questa grande rivoluzione. La trasformazione in corso nel nostro Paese nel settore delle due ruote richiederà il coordinamento di tutte le intelligenze e le competenze disponibili per realizzare e portare a termine rapidamente questa rivoluzione.

In altre parole, ci siamo impegnati a lavorare a stretto contatto con il legislatore nazionale, il Governo, il Parlamento, e a spingere per l’adozione di politiche a livello regionale e comunale, coinvolgendo anche le iniziative delle imprese private, che possono dare un contributo importante in questo contesto. Vogliamo finalizzare questo percorso che dura da ormai 40 anni e che ora comincia a diventare sempre più visibile in Italia. Il cicloturismo è possibile anche nel nostro Paese e le biciclette stanno diventando un mezzo di trasporto sempre più rilevante in molte città italiane. Ora è fondamentale portare a termine il lavoro e ci siamo impegnati per i prossimi quattro anni affinché questa rivoluzione si concretizzi definitivamente.


Intervista a cura di Lorenzo Bertuccio